
Il discorso di Putin indica una nuova fase della guerra
Mobilitazione parziale a partire da oggi, 21 settembre: ecco cosa vuole Vladimir Putin, annunciandolo nel tanto atteso discorso alla nazione che ha tenuto tutti con il fiato sospeso dalla scorsa notte. Una mossa non draconiana come la mobilitazione generale, ma comunque grave e che allontana sempre più la prospettiva della pace.
La mobilitazione parziale dei riservisti ha dato, al contempo, una scossa ai prezzi di gas e petrolio, spinti dai timori di un’escalation del conflitto in Ucraina. Il prezzo del gas all’hub di riferimento europeo Ttf è salito per il secondo giorno di fila sopra i 200 euro per kilowattora a 210 euro (+7%), mentre Brent e Wti sono balzati di quasi il 3% rispettivamente a 92,80 dollari al barile e 85,9 dollari.
Cosa intende Putin per mobilitazione parziale
Putin ha aperto il suo discorso dichiarando come sia necessario garantire la difesa del popolo e della sovranità territoriale della Russia: la leva, dunque, riguarderà solo i riservisti e innanzitutto coloro che hanno già svolto servizio nelle forze armate e che hanno quindi preparazione e esperienza. Prima di essere inviati al fronte i militari svolgeranno ulteriore addestramento. Ribadisce, invece, che non si tratta di una più ampia forma di coscrizione che avrebbe potuto coinvolgere tutti gli uomini russi in età da combattimento e abili alla guerra.
Inoltre, lo status giuridico dei volontari e dei miliziani del Donbass dovrebbe essere equiparato a quello del personale militare russo. A questo proposito sarebbero già state date istruzioni al governo e al ministero della Difesa di determinare in pieno e il prima possibile lo status giuridico dei volontari, nonché dei combattenti delle unità delle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Dovrebbe essere lo stesso di quello del personale militare regolare dell’esercito russo, compreso il materiale, l’assicurazione sanitaria, le garanzie sociali.
Il nervosismo di Putin
Una mossa che tradisce senza dubbio nervosismo, di fronte anche alla riscossa ucraina degli ultimi giorni. Secondo Putin, la decisione si giustifica con il nuovo atteggiamento da parte di Kiev, che avrebbe abbandonato apertamente i piani per risolvere il conflitto nel Donbass in via pacifica annunciando l’intenzione di ottenere delle armi nucleari. Il timore adesso è quello di un attacco diretto alla Crimea. Secondo la visione del numero uno del Cremlino, sarebbe stato installato un regime di repressione in tutta l’Ucraina dopo il colpo di Stato armato del 2013 e la politica del terrore ora starebbe diventando sempre più estesa. “Gli abitanti delle zone liberate, tuttavia, non vogliono rinunciare alla liberazione e questo vale anche per le regioni di Kherson e Zaporizhzhia”, ha detto Putin. Non a caso, infatti, l’annuncio della mobilitazione parziale giunge nelle stesse ore della “conferma” da parte di Mosca dei referendum nelle zone “liberate”.
Il lato più inquietante del discorso però giunge nuovamente sull’utilizzo delle armi nucleari. Nella visione del conflitto, Putin continua a sostenere che la politica aggressiva dell’Occidente ha superato ogni limite: “a chi minaccia con armi nucleari è bene ricordare che anche la Russia è dotata di tali armamenti!”, ha tuonato nel mezzo del suo annuncio. Parole che ripetono i consueti refrain con sfumature quasi millenariste e continui riferimenti alla fine miserabile dell’Unione Sovietica e alla presunta volontà occidentale di distruggere la Russia, frammentando il mondo ex-sovietico in una granola di nazioni in guerra fra loro.
In che fase della guerra stiamo entrando?
La mobilitazione parziale è un preciso messaggio all’Occidente, una dimostrazione di come le forze russe abbiano intenzione di potenziare l’offesa e di poterne anche intensificare il gradiente, con una possibile futura mobilitazione generale, spauracchio per un’Europa che aveva sepolto coscrizione obbligatoria e battaglie decenni fa. Ma la parzialità della scelta potrebbe essere anche segno di una forte debolezza interna: richiamare tutti gli uomini abili al combattimento, al pari di Kiev, in un conflitto che i russi non hanno chiesto, può essere controproducente.
Significa aumentare la spesa bellica, fare opera di propaganda, sospendere diritti e libertà già flebili. Vuol dire strappare figli e mariti dal lavoro, dalla scuola, dalle famiglie e dallo studio. E di fronte a questo c’è una nazione intera, che va dagli Urali al fiume Amur, da convincere: non si tratterebbe, infatti, di richiamare al fronte solo i giovani delle aree sperdute del Paese, ma di trascinare nelle uniformi due o forse tre generazioni che, a Mosca o a San Pietroburgo, godono della modernità, delle aperture, di un certo cosmopolitismo seppur impastoiato. E in tal caso non vi sarebbe censura che possa tenere: basterebbero gli smartphone dei giovani russi a dimostrare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che questa non è un'”operazione”, tantomeno “speciale”.
Le bastonate diplomatiche per Putin
Se nelle ultime ore si erano rincorse flebili speranze sulla presunta volontà di Putin di fermare il conflitto, la mobilitazione, anche se parziale, infrange qualsiasi speranza. Putin è quanto mai con le spalle al muro e nelle ultime settimane la sua operazione subisce attacchi da più parti. E non solo sul campo, per via dello sfondamento da parte delle forze ucraine. A questo si aggiunge la palese constatazione che Kiev, dopo i primissimi giorni di resistenza a febbraio, adesso combatte e contrattacca grazie al sostegno militare dell’Occidente. La Nato non è in guerra, formalmente, ma è come se lo fosse.
A questo si aggiungono una serie di bastonate diplomatiche. Il vertice della Sco, che immaginava come una sua passerella tra nazioni “sorelle”, si è invece rivelato lo show della potenza di Xi Jinping e di Pechino. A Samarcanda, Putin ha stretto molte mani e avanzato proposte, ma ha raccolto gelo e nessun sostegno incondizionato. Perfino il presidente turco Erdogan, si era illuso sulle sue “sensazioni” circa la volontà russa di porre fine alla guerra. A New York, riuniti al Palazzo di Vetro, in queste ore, ci sono i grandi del mondo: al ministro degli Esteri Lavrov è stato concesso, dopo vari tira e molla, il visto per parteciparvi, ma si sta rivelando un vero elefante nella stanza. Perfino il funerale della defunta regina Elisabetta II è stato ragione di esclusione della Russia da un grande momento della storia. L'”Onu” riunita a Westminster è stato forse solo uno degli ultimi schiaffi morali a un leader sempre più isolato anche in casa propria. Nel frattempo, i siti web russi registrano impennate di ricerche relative a come evitare la leva e in che modo lasciare il Paese, riferisce Meduza. A Mosca, gli oppositori della guerra e i falchi, paradossalmente si ritrovano, mutatis mutandis, sulla stessa linea: vogliono la fine dell’era Putin.