Gli otto Paesi africani aderenti all’Unione economica e monetaria ovest-africana per mezzo del loro portavoce, il presidente del Benin Patrice Talon, hanno espresso la loro volontà di uscire nei prossimi anni dal sistema monetario del franco Cfa, legato attualmente alla Banca di Francia. Questo sistema infatti, sebbene sia stato in grado di garantire una certa stabilità all’economia africana, creerebbe un vincolo eccessivo alle nazioni che vi aderiscono, che si tradurrebbe in vere e proprie ingerenze delle volontà di Parigi nelle scelte economiche del Continente nero. Nonostante non siano ancora state definite né la data né le modalità in cui avverrà in futuro il cambio di valuta, i muri della Banca di Francia hanno iniziato a tremare.

Franco Cfa, adieu!

Per l’economia francese, il rischio che le ex-colonie richiedano in blocco la restituzione delle proprie riserve in cambio dell’attuale valuta non è affatto da sottovalutare. La semplice richiesta da parte di un singolo Paese come la Costa d’Avorio delle proprie riserve significherebbe, per Emmanuel Macron, dover reperire una quantità di risorse maggiore all’attuale manovra per scongiurare l’aumento dell’Iva in Italia, senza considerare che si tratterebbe soltanto di una minima parte delle riserve africane, essendoci altri 13 Paesi aderenti al sistema monetario.

Non avendo più una moneta forte sul continente senza avere una serie di accordi commerciali forti come il Commonwealth inglese, la Francia si troverebbe inoltre spiazzata nei suoi interessi esteri e incapace di poter gestire situazioni di difficoltà. Potendo infatti variare in ogni momento il rapporto di cambio in qualità di garante della conversione, la Francia ad oggi è in grado di far pesare i propri interessi in Africa attraverso una vera e propria pressione monetaria psicologica: se Parigi dovesse infatti decidere di raddoppiare il numero di franchi Cfa necessari per cambiare la valuta in euro, potrebbe dimezzare il potere d’acquisto di 14 Paesi del mondo. Assolutamente scorretto (e a onor del vero mai attuato) na possibile e sicuramente paventato quando gli interessi nazionali francesi sono apparsi lesi o a rischio.

Valute nazionali o valuta unica centroafricana?

Sebbene i rapporti tra gli Stati centroafricani siano nel complesso migliorati negli ultimi anni (anche a causa delle guerre congiunte contro il terrorismo e le carestie), le possibilità di una collaborazione internazionale in tema di politiche monetarie non sembrano favorevoli.

In quest’ottica, la carta dell’indipendenza monetaria è da giocarsi col giusto tempismo, per evitare l’inflazione cavalcante che interessa i Paesi africani che non aderiscono al franco Cfa (Zimbabwe e Guinea rappresentano i casi più eclatanti). Le parole utilizzate dal presidente del Benin sulla possibilità di sganciarsi dal franco Cfa sono state particolarmente eloquenti:

Non posso comunicarvi la data, ma mentalmente quello è già il nostro punto di arrivo

In sintesi, i capi di Stato africani hanno convenuto che non sono possibili politiche di espansione economica sin tanto che la Francia continuerà a battere moneta per loro, rendendoli psicologicamente succubi delle volontà di Parigi.

Se i Paesi africani saranno in grado di gestire al meglio la situazione e giocarsi bene le proprie carte, allora riusciranno davvero a intimidire Parigi. Ma lo scenario che il Continente nero si trova davanti non è affatto facile: scombussolare eccessivamente la banca di Francia rischia di creare ritorsioni francesi sul valore del cambio; mantenere inalterata la situazione rischia di indebolire i Paesi africani, incapaci di progredire economicamente, finanziariamente e socialmente. E questo, i capi di Stato africani lo sanno molto bene, avendoci convissuto sin dagli Accordi di Bretton Woods. Se la volontà degli Stati africani sarà un successo o un fallimento, dunque, dipenderà essenzialmente da come riusciranno a creare una rete parallela e opposta al franco Cfa. Tutte incognite che in Africa stanno soppesando. Il rischio di fallire, infatti, è alto.