Redistribuzione e rimpatri: sono le due parole magiche che Giuseppe Conte e Luigi Di Maio ripetono ad ogni conferenza stampa per sottolineare le novità riguardanti l’approccio italiano sull’immigrazione. A dire il vero, però, i concetti ribaditi dai principali esponenti del governo giallorosso non sono poi così nuovi e non costituiscono affatto delle novità. Di redistribuzione e di rimpatri se ne parla già da anni ed esecutivi di diverso colore da almeno due decenni provano ad imprimere simili svolte nel contrasto all’immigrazione. La strada quindi adesso solcata dal Conte II, oltre a non rappresentare una novità, non è nemmeno così facile come si vuol far apparire.

Il piano post Malta del governo: sbarchi direttamente in Africa e rimpatri più semplici

A New York il premier Conte ed il ministro degli esteri Di Maio in questi giorni hanno partecipato alla conferenza sul clima dell’Onu e all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Ma più che ad osservare Greta in lacrime, lo sguardo dei due è rivolto al Mediterraneo: qui si sta giocando la prima delicata partita del nuovo esecutivo. L’impennata degli sbarchi ha messo sotto pressione la maggioranza nata ad agosto, da qui la richiesta di una sponda politica europea prontamente accolta soprattutto da una Germania che considera l’Italia come una sorta di figlia indisciplinata appena rientrata nei ranghi. Quel che ne consegue è noto: il vertice di Malta, un accordo che in realtà accordo non è, una svolta che è più mediatica che reale e concreta. A La Valletta cinque ministri dell’interno dell’Ue raggiungono un’intesa preliminare in cui si sancisce la redistribuzione automatica, ma dei soli migranti che arrivano con le navi Ong o che vengono salvati dalle navi militari. Ammesso che questa bozza di una bozza, di un documento che verrà discusso solo ad ottobre in Lussemburgo, rechi con sé in futuro un valore vincolante, per l’Italia non cambierebbe nulla visto che solo il 10% dei migranti che sbarca arriva tramite Ong o navi militari.

Tutto questo però al governo basta per poter affermare che l’aria è cambiata, che l’Italia adesso è presa in considerazione in Europa e che sui migranti in un mese viene fatto ciò che nessuno attua in 20 anni. Conte si spinge anche oltre e a un Matteo Salvini che parla di “tradimento”, replica invitandolo a non essere “geloso” di un accordo evidentemente reputato perfetto. E a Roma si vuole adesso anche andare oltre: incassato il presunto successo sulla redistribuzione, si passa ai rimpatri. Un argomento scottante, su cui tanti ministri dell’interno e tanti rappresentanti del nostro Paese sbattono nelle ultime due decadi. Forse questo aspetto Di Maio non lo sa, visto che ostenta un’incredibile tranquillità in merito: “Su ricollocamenti e rimpatri faremo più di Salvini, forse non ci voleva molto”. Come dire, forse chi ha preceduto il Conte II non è all’altezza. O, più probabilmente, l’attuale ministro degli esteri non conosce le dinamiche politiche ruotanti attorno al fenomeno migratorio dagli anni ’90 ad oggi.

Così come si apprende da chi al momento è al seguito della delegazione italiana a New York, Conte e Di Maio starebbero elaborando assieme al titolare del Viminale, Luciana Lamorgese, un piano per velocizzare i rimpatri. Un piano in apparenza semplice da elaborare e che prevede, in primis, lo sbarco delle navi direttamente in Africa. Vale a dire che, quelle imbarcazioni intercettate non lontano dalle coste africane, saranno dirottate in Tunisia, Algeria e Marocco. Una sorta di riproposizione in chiave mediterranea del principio della rotazione dei porti, visto che (come certificato a Malta) in chiave europea questo progetto stenta a decollare. Contestualmente, chi proviene da questi tre paesi (certificati come sicuri, visto che proprio lì verrebbero inviate le navi con i migranti a bordo) non avrebbe in Italia il diritto di asilo. E qui entra in gioco il “piatto forte” di questo piano, ossia la velocizzazione dei rimpatri verso gli Stati magrebini.

Un piano di difficile attuazione

Tutto semplice, almeno sulla carta. Almeno così appare ai massimi esponenti del governo giallorosso, stando alle dichiarazioni sopra riportate di Luigi Di Maio. Peccato che, a livello pratico, nessuno sia mai riuscito a trovare accordi risolutori con i Paesi nordafricani in questione. Un precedente incoraggiante è rappresentato dall’accordo italo-libico firmato a Bengasi nel 2008, vanificato però dall’inizio delle primavere arabe e dai bombardamenti contro Muammar Gheddafi. Per il resto, esistono già accordi con la Tunisia ed intese con l’Algeria, ma al momento i risultati non sono significativi. Il piano che trapela da New York è, se non impossibile da realizzare, quanto meno difficile. E l’attuazione potrebbe richiedere tempi molto lunghi e non rispondere quindi alle esigenze immediate che invece ha il governo giallorosso.

Questo perché già più volte la Tunisia fa sapere di non volere hotspot nel proprio territorio. Ben che meno da Tunisi accetteranno l’idea di mettere a disposizione i propri porti per far entrare le navi con i migranti a bordo. Inoltre, un accordo sui rimpatri con la Tunisia già c’è, chi arriva a Lampedusa dal paese africano lo sa ed è per questo che, come in questi giorni, vengono inscenate proteste per non tornare subito in patria. Fin qui la situazione che riguarda la Tunisia, paese considerato più stabile rispetto agli altri dell’area. In Algeria attualmente non c’è nessuno con cui trattare, visto che dopo le dimissioni di Bouteflika il Paese è retto ad interim dal suo successore e fatica a ritrovare un certo equilibrio istituzionale. Il Marocco già a malincuore, e non senza difficoltà, si riprende i migranti respinti dalla Spagna: Madrid e Rabat nel 1992 siglano un accordo in tal senso, reso però pienamente operativo soltanto in questo mese di febbraio dal governo di Pedro Sanchez, con le autorità marocchine che accettano frettolosi rimpatri solo in caso di numeri molto alti.

In poche parole, la questione dei rimpatri non è semplice. Occorre certamente affrontarla, ma non è facile venirne a capo in poco tempo. Per di più, al netto di un eventuale successo della strategia italiana, il tutto riguarderebbe solo la tratta libica, quella cioè sì in ripresa nelle ultime settimane ma che complessivamente dona al momento meno grattacapi di quella tunisina. L’Italia quindi si sta muovendo, sul discorso immigrazione, solo a livello mediatico. Nulla di concreto in Europa o nel Mediterraneo verrà posto in essere.