Il Sudafrica ha un problema con una parte della sua popolazione di colore. E non si sta parlando del Sudafrica dell’apartheid, ma di quello attuale nato con la liberazione di Nelson Mandela. In questi giorni, infatti, si assiste a diversi episodi di violenza sia a Johannesburg che a Pretoria. Autori delle violenze, culminate anche con cinque uccisioni ed il saccheggio di almeno 50 negozi appartenenti a cittadini stranieri, sono gruppi di sudafricani che il governo definisce come “mere bande delinquenziali”. In realtà quello che non si vuole ammettere è che nel Sudafrica post apartheid la violenza xenofoba è ben presente ed è perpetuata da giovani di colore contro altri cittadini di colore. Una guerra civile africana proprio nel Paese della lotta alle discriminazioni.

Quei precedenti pericolosi

Nel 2008 il Sudafrica è in gran fermento: si costruiscono nuovi stadi e nuove infrastrutture per i mondiali di calcio che si disputeranno nel 2010, il primo grande evento sportivo di sempre organizzato in Africa. Il Paese sembra vivere una sorta di “sogno africano” e interpretare le speranze di un intero continente. Ed invece in quell’anno si assiste ad un’ondata xenofoba contro cittadini somali, ma anche del Malawi, dello Zimbabwe e di altri Paesi africani. Parte tutto nel maggio del 2008, quando nella township di Alexandra, periferia di Johannesburg, gruppi di stranieri vengono circondati e malmenati da cittadini sudafricani. Sembra un caso isolato, ma in realtà non lo è: dalla periferia della capitale economica del Paese, pestaggi ed a volte anche linciaggi contro stranieri si diffondono nelle periferie delle altre metropoli sudafricane. Alla fine di quell’anno, si contano 67 omicidi e centinaia di africani in fuga dal Sudafrica. La stessa organizzazione dei mondiali viene messa in discussione per motivi di sicurezza, il governo è costretto a schierare l’esercito nelle strade.

Ma quello non è il primo caso. L’insofferenza dei neri sudafricani verso persone di altre etnie africane si manifesta già nei primi anni post apartheid. Fin quando si lotta contro il precedente sistema dominato politicamente dai sudafricani bianchi, nelle periferie si convive tra cittadini africani provenienti da diversi Paesi. Anzi, attratti anche da prospettive di lavoro difficilmente riscontrabili nel resto del continente, centinaia di africani si riversano in Sudafrica per trovare un impiego e contestualmente dare manforte politica ai “fratelli” neri pro Mandela. Finito l’apartheid, tensioni di natura etnica e sociale, provocate anche da un’economia sempre più debole e dall’emersione di maggiori disparità, esplodono fino a provocare veri e propri massacri.

Gli episodi delle ultime notti

Gli ultimi bilanci, come detto, parlano di sette vittime ma potrebbero essere molti più coloro che nelle ultime ore sono rimasti coinvolti nei gravi episodi di violenza. Vetrine spaccate, automobili in fiamme, le township di Johannesburg e Pretoria tornate ad essere vero e proprio campo di battaglia. Ma non solo. Le cronache delle ultime ore parlano anche di persone bruciate vive, come ha spiegato anche il portavoce della polizia metropolitana di Johannesburg, Wayne Minnaar: “Abbiamo trovato due corpi carbonizzati nel negozio”.

La polizia in assetto anti sommossa spara anche proiettili di gomma pur di allontanare bande agguerrite che vanno alla ricerca di cittadini stranieri. Diversi gruppi inneggiano al potere dei neri sudafricani e contro la presenza di altri africani nei propri quartieri. Quando cala la notte nelle periferie delle metropoli sopra citate, inizia l’incubo per molti: c’è chi scappa, c’è chi si barrica in casa e c’è chi manda altrove la propria famiglia.

Sui social gira un appello di un gruppo denominato “Sisonke Peoples Forum”, che in poche ore fa il pieno di condivisioni e che invita i cittadini sudafricani a cacciare gli stranieri accusati di vendere droga e portare delinquenza. La tensione è alle stelle ed è specchio dell’attuale situazione che vive il Sudafrica: economia allo sbando, società disgregata che non riesce ad emergere dalle piaghe della corruzione e delle disuguaglianze, un paese dunque quasi piegato su se stesso e senza sbocchi all’orizzonte. E adesso c’è chi, tra i seguaci delle lotte di Mandela negli anni Ottanta e Novanta, ammette amaramente che forse per i neri la situazione in Sudafrica era migliore durante il precedente regime.