L’asse prende forma. Il Regno Unito si schiera con gli Stati Uniti e annuncia che prenderà parte alla coalizione marittima che ha voluto Washington per il monitoraggio dello Stretto di Hormuz. Il segretario alla Difesa britannico, Ben Wallace, ha spiegato la decisione dell’esecutivo di Londra con il fatto che “il Regno Unito è determinato a garantire che il suo trasporto marittimo sia protetto da minacce illegali e per questo motivo – ha continuato Wallace – ci siamo uniti alla nuova missione di sicurezza marittima nel Golfo”. Il riferimento è a Operazione Sentinella, la missione annunciata da Centcom, il Comando centrale degli Stati Uniti, per controllare le acque dello Stretto di Hormuz e di Bab el-Mandeb nell’ambito delle tensioni sempre più crescenti tra Teheran e le potenze alleata degli Stati Uniti, in particolare proprio con il Regno Unito.

L’annuncio del governo britannico di costituire, insieme agli Stati Uniti, la task force marittima per monitorare con le forze aree e navali la rotta del Golfo Persico arriva dopo alcuni episodi-chiave che hanno segnato questa escalation. Innanzitutto dopo il confronto sempre più serrato tra le due marine, con i Pasdaran che hanno sequestrato la Stena Impero, petroliera britannica ferma da giorni a Bandar e Abbas, dopo che i Royal Marines inglesi hanno sequestrato la petroliera iraniana Grace 1 a largo di Gibilterra.

A questi episodi si sono poi aggiunti due eventi altrettanto importanti nelle dinamiche atlantiche. A Londra, i conservatori hanno eletto Boris Johnson alla guida del partito e quindi come sostituto di Theresa May al numero 10 di Downing Street. E Johnson non ha mai negato di voler rafforzare la special relationship tra Regno Unito e Stati Uniti specialmente grazie all’ottimo rapporto costruito con il presidente americano Donald Trump. Un asse che nasce per due ragioni: da un lato il legame ideologico tra i due leader atlantici, dall’altro il sostegno di The Donald alla Brexit e l’assoluta volontà di Johnson di portare avanti l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea entro il 31 ottobre 2019. Data dopo la quale il presidente degli Stati Uniti vorrebbe rafforzare il legame con Londra compattando ancora di più le due sponde dell’Oceano.

A questa situazione politica si aggiungono due fattori da non sottovalutare. Da un lato, il governo britannico ha necessità di impegnarsi in un’operazione internazionale che serve inevitabilmente a mostrarsi al mondo. Significa, di fatto, il voler far capire a tutte le potenze interazionali che il nuovo corso di Boris Johnson comporti un rinnovato coinvolgimento della Gran Bretagna negli affari internazionali.

Dall’altro lato, è importante capire che gli Stati Uniti, in questo momento, si trovano isolati rispetto agli altri alleati europei sul fronte iraniano. E la decisione di Londra ha una duplice chiave di lettura. Da una parte gli Usa mostrano di “non avere bisogno” dell’Europa e dell’Unione europea rinforzando il legame con la Gran Bretagna, l’asse atlantico per eccellenza e fanno capire che l’isolamento rispetto al Vecchio continente non sia un freno alle loro velleità strategiche. E non è un caso che questo annuncio sia giunto dopo che il il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, aveva parlato del totale isolamento di Washington e che anzi, i suoi alleati “si vergognavano troppo” per schierarsi nel Golfo Persico. Dall’altra parte, per il Regno Unito significa inevitabilmente cercare la sponda di Washington in una fase in cui i rapporti con l’Europa sono ai minimi termini.

Ma la mossa di Londra non significa chiudere del tutto i ponti con Teheran. Anzi, il segretario agli Esteri Dominic Raab ha parlato chiaro:  “Rimaniamo impegnati a lavorare con l’Iran e i nostri partner internazionali per ridurre la situazione e mantenere l’accordo sul nucleare”. Una dichiarazione da non sottovalutare: il Regno Unito può essere uno strano centro di gravità tra i rapporti tra Iran, Europa e Stati Uniti. E il coinvolgimento delle petroliere britanniche nella sfida del Golfo può avere una nuova, curiosa, chiave di lettura.