Lo scorso marzo Xi Jinping ha effettuato una visita di tre giorni in Italia. Alla lettura del programma allestito dal suo entourage, in molti sono rimasti sorpresi dalla breve trasferta siciliana del presidente della Cina. Perché l’uomo più potente del mondo ha scelto di fare tappa in Sicilia? La domanda è rimasta senza una risposta certa, fra ipotesi e contro ipotesi di ogni tipo e genere. Pare che Xi Jinping volesse ricambiare la cortesia istituzionale fatta da Mattarella, quando il presidente italiano, nel suo tour oltre la muraglia, visitò la città natale dell’omologo cinese. “Questa mia visita – aveva spiegato Xi – è un stato un grande sport per la città e tutta la Sicilia. Sono convinto che in futuro arriveranno qui milioni di turisti cinesi”. In quei giorni c’era chi riteneva che Pechino volesse affondare gli artigli sul porto di Palermo per dare un nuovo sbocco alla Nuova Via della Seta nel Mediterraneo dopo il Pireo; una spiegazione che metteva in secondo piano un’altra teoria, ovvero l’intenzione del Dragone di incrementare il turismo cinese nella regione italiana. Alla fine il turismo potrebbe essere il cavallo di Troia dentro cui nascondere interessi geopolitici.

Il Dragone alimenta il turismo verso l’Italia

Le bellezze della Sicilia vengono esaltate in un lungo articolo del Global Times che fa luce sul nuovo turismo etico promosso da varie associazioni locali. Nelle due pagine di spazio concesse dal quotidiano cinese alla regione italiana si demolisce l’immagine stereotipata che troppo spesso l’isola ha all’estero. Insomma, un bel biglietto da visita per tanti cinesi pronti a partire zaino in spalla, e una bella pubblicità per la Sicilia, desiderosa di accogliere nuove orde di turisti. Un’indagine del Centro studi Cna, tra l’altro, ha svelato che il numero di turisti provenienti dalla Cina e diretti in Italia è destinato a impennarsi di un milione di unità nell’arco del 2019, toccando quota 6 milioni annui. Il ritorno economico dell’ondata cinese è di tutto rispetto: le stime parlano di un movimento economico di un miliardo e mezzo di euro, tra spese di viaggio, alberghi, cibo e shopping.

La lista dei buoni

Il turismo è una delle leve che può attivare la Cina per supportare o affossare l’economia di un paese senza intervenire in modo diretto. Insieme all’Italia, nella lista dei “buoni”, è finito anche il Myanmar, un povero paese del sud est asiatico abbandonato dall’Occidente ma rianimato dal turismo del Dragone. I dati del 2018 parlano di 297.400 turisti cinesi, con un incremento di un secco 38% rispetto al 2017; questa cifra, tra l’altro, è destinata a salire visto che il governo birmano è una pedina fondamentale della Nuova Via della Seta di Pechino. In futuro Pechino ha garantito il proprio appoggio anche alla Corea del Nord, desiderosa di accogliere turisti stranieri.

La lista dei cattivi: il caso Taiwan

Ma la Cina ha anche una lista dei “cattivi”, dove rientrano quei paesi da penalizzare in ambito turistico per i motivi più svariati: dispute commerciali, dissidi politici, frizioni diplomatiche. L’ultimo ad aver assaggiato il boicottaggio cinese è stata Taiwan. La Cina ha infatti bloccato la concessione dei permessi di viaggio a Taiwan per tutti i viaggiatori cinesi che non siano inclusi in gruppi organizzati. La provincia ribelle, come la definisce Pechino, stava godendo di una discreta crescita derivante dal turismo cinese; nei primi sei mesi del 2019 l’isola aveva registrato 1,67 milioni di turisti individuali provenienti dalla Cina, con un aumento del 28% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Una crescita, quella su cui faceva affidamento Taipei, destinata a interrompersi. Pechino, in passato, ha più volte usato il turismo come un arma politica ed economica: chiedere per maggiori informazioni alla Svezia, alla Corea del Sud e al Giappone. La fortuna dell’Italia, almeno per il momento, è che Roma si trova sulla lista dei buoni.