Volano a oltre 15 chilometri d’altezza. Possono essere enormi, con un’apertura alare di 25 metri, o  microscopici, con un peso di appena 200 grammi. Sorvegliano o attaccano. Registrano informazioni o lanciano missili. Si tratta dei droni militari, i dispositivi che stanno cambiando lo scenario delle operazioni e delle tattiche di combattimento. Secondo il report dell’Ong Drone Wars – aggiornato a giugno 2019 -, sono 15 i Paesi che usano dispositivi armati a pilotaggio remoto (Apr) per operare sui campi di battaglia, primi su tutti gli Stati Uniti e Israele. Ma ci sono anche molti altri Stati che si stanno attrezzando per arrivare, tra la fine del 2019 e il 2022, a utilizzare droni da combattimento a pieno regime. E fra questi c’è l’Italia.

Dagli Usa a Israele, i Paesi con droni armati

L’elenco stilato da Drone Wars considera i dispositivi catalogati dalla Nato come Class II e Class III, vale a dire i droni da battaglia che pesano da un minimo di 150 chili fino a oltre 650 e che possono arrivare a volare a un’altezza di almeno 5 chilometri. Leader nel settore, da ormai oltre 10 anni, sono gli Stati Uniti, con i loro Predator, Reaper e Grey Eagle. Questi dispositivi sono in grado di lanciare attacchi  a lunga distanza, così come lo possono fare i droni israeliani Hermes (450/900) e Heron TP. Nella lista di Paesi che utilizzano a pieno regime i dispositivi pilotati da remoto, compaiono poi la Cina e il Regno Unito (Londra ha usato i droni armati in Iraq, Siria e Afghanistan). E ancora, l’Iran e poi la Turchia che viene segnalata come uno tra gli Stati più attivi, con centinaia di attacchi registrati.

Nell’elenco vengono poi citati il Pakistan e l’Iraq, così come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto che hanno a loro disposizione il drone cinese Wing Loong (II), capace di effettuare missioni di lunga durata e a media altitudine. A chiudere l’elenco ci sono la Nigeria, l’Algeria, l’Ucraina e il Qatar. Nello specifico, a marzo l’aviazione dell’Ucraina ha ricevuto in servizio il primo drone 12 Bayraktar TB2s, mentre l’Algeria starebbe concentrando la sua attenzione sul dispositivo armato El Djazair: può raggiungere i 220 km/h e ha un’autonomia di volo di 72 ore. In Qatar, invece, ultimamente è stato sviluppato un programma ad hoc di addestramento per il personale che opera con i droni: avere a disposizione le migliori tecnologie è importante, ma serve anche formare i piloti che da remoto le gestiranno.

Le roadmap di Francia e Italia

Se alcuni Paesi stanno già lavorando a pieno regime con i droni armati, molti altri si stanno organizzando per andare nella stessa direzione. Fra questi compaiono anche la Francia e l’Italia. Parigi dovrebbe essere operativa entro la fine del 2019, con il drone Reaper che è già attivo senza armamenti. L’Italia dovrebbe usare lo stesso tipo di dispositivo, ma sui tempi c’è ancora incertezza. Il nostro esercito usa già droni, ma solo per operazioni di ricognizione e sorveglianza, come sottolinea l’Areonautica Militare sul suo sito, in cui vengono elencate le caratteristiche dell’MQ-1C Predator A+ e dell’MQ-9A Predator B, due dispositivi costruiti dalla General Atomics. Le loro funzioni sono tantissime: per esempio, possono “contribuire alle attività di controllo del territorio e delle linee di comunicazione, nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina”. Ma non finisce qui: sono anche in grado di entrare in azione in “ambienti operativi ostili”, cioè in presenza – per esempio – di una contaminazione nucleare.

Verso l’utilizzo dei droni armati

L’incertezza sui temi di impiego non è solo dell’Italia, come mostra il caso tedesco: a Berlino il dibattito sugli aeromobili a pilotaggio remoto è ampio. Secondo le previsioni, l’Heron-Tp di produzione israeliana dovrebbe diventare operativo nel 2020 in Germania. E non si esclude, come ha scritto Reuters, che il Paese, insieme alla Francia, alla stessa Italia e alla Spagna possa lavorare in futuro a un drone di nuova generazione che sia competitivo sul mercato. Ma ci sono altri Paesi da tenere in considerazione: l’Australia dovrebbe avere droni armati nel 2020, mentre la Russia sta sviluppando molti programmi ma non ha nessuna data certa per l’operatività. Questa è la stessa situazione in cui si trovano anche il Kazakistan, la Birmania, la Corea del Sud e il Turkmenistan. Da definire anche la situazione della Giordania che opera con i droni CH-4B ma che, secondo le ultime notizie, sarebbe scontenta dei dispositivi tanto da non usarne a pieno il potenziale.