Prima la visita a Roma di Vladimir Putin, poi il summit con alcuni esponenti della Chiesa greco-cattolica di Kiev, che invece sono arrivati Vaticano nel corso dei due giorni successivi: la settimana di papa Francesco è stata centrata sull’Oriente, dove il Santo Padre sembra aver intenzione di spostare parte del baricentro del cattolicesimo. Si pensi, per esempio, all’importanza che ha assunto con questo pontificato il cardinale Tagle, che è filippino. L’Est, insomma, come eventuale contraltare dello strapotere numerico sudamericano, con buona pace del Vecchio continente.

Ma se nel corso del primo di questi due appuntamenti è stata verificata la sincronia tra Russia e Santa Sede sul dossier siriano, sul quale c’è sempre stata una certa condivisione, nel secondo, con buone probabilità, la disamina ha riguardato – com’è stato evidenziato dall’agenzia Res – la “delicata e complessa situazione in cui si trova l’Ucraina”.

Sì, perché i greco-cattolici ucraini sono tra i più convinti sostenitori che quella della Federazione Russa sia stata una “aggressione militare”. I riscontri di questa posizione sono facilmente appurabili. Esiste, per esempio, un’intervista rilasciata a Tv2000 nel 2018 da Svjatoslav Sevcuk, che ricopre la più alta carica ecclesiastica. Egli, attraverso i virgolettati segnalati, ha parlato anche di guerra meno rilevante per gravità solo al secondo conflitto bellico mondiale. Il metodo diplomatico del Vaticano – come vedete – è sempre incline al multilateralismo: Jorge Mario Bergoglio, che ha fatto sì con il cardinale Parolin che la Chiesa cattolica riprendesse in mano le redini della geopolitica, si muove su più fronti.

Nella complessa stratigrafia delle confessioni religiose presenti in quella zona di mondo, però, quella greco-cattolica costituisce un unicum anche perché, pur essendo una sorta di Chiesa nazionale a sé stante, riconosce piena legittimità al vescovo di Roma. Non siamo dinanzi alla Chiesa ortodossa d’Ucraina, quindi, che si è separata in polemica da Mosca da qualche mese, ma anche i greco-cattolici non sono di certo etichettabili come putiniani. Il “ministro degli Esteri” della Santa Sede, in ogni caso, ha chiarito ad Avvenire come la consequenzialità temporale di questi due colloqui sia del tutto casuale. Il sospetto è che questa fase sia servita soprattutto come momento interlocutorio.

La curiosità più grande di questa tre giorni riguarda comunque il possibile invito a Mosca che Vladimir Putin poteva decidere d’inoltrare al Santo Padre: uno scenario che è rimasto del tutto ipotetico. Soprattutto perché papa Francesco, in relazione alle visite di quest’anno, ha già in programma di visitare il Giappone. Se ne potrebbe parlare, dunque, per il 2020. Ma l’invito dello “Zar” al pontefice, stando a quello che è emerso, non è arrivato.