Nelle ultime settimane la stampa internazionale si è concentrata sulle prossime e imminenti elezioni afghane e sulla discussa e possibile partecipazione di gruppi talebani. Notizie che hanno costretto l’opinione pubblica internazionale a un’amara accettazione; ovvero che dopo quasi 20 anni di guerra le formazioni islamiste non sono state sconfitte e anzi, in considerazione delle ampie porzioni di territorio che amministrano e del ruolo che hanno oggi nel Paese, vincitori più di altri risultano essere proprio loro: gli ”studenti” votati alla guerra santa.

Ma l’Afghanistan non è il solo Paese dove si può assistere, se non a una vittoria, almeno a una non sconfitta dei gruppi estremisti islamici. Altro luogo in cui Al Qaeda esulta è la Somalia, dove dal 2006 il gruppo estremista Al Shabaab conduce la propria guerra contro lo stato centrale e i contingenti internazionali e continua ad amministrare ampie porzioni di territorio forte di oltre 6000 combattenti.
Nell’ex colonia italiana il credo islamista e la militanza fondamentalista prendono piede nella prima metà degli anni ’90 in concomitanza con la caduta del regime di Siad Barre e lo scoppio del conflitto civile che vede contrapporsi diversi gruppi di war lords. E’ in quel periodo che nasce Al-Ittihad Al-Islam il primo movimento islamico dotato di un’agenda politica in netto contrasto con i signori della guerra. Al-Ittihad viene sconfitta da un’avanzata etiope nel ’96 ma il solco dell’islamismo in Somalia è ormai tracciato.

Dopo Al-Itthiad fa la sua apparizione l’Unione delle Corti Islamiche che inizia a combattere e vincere contro l’Alliance for Restoration of Peace and Counterterrorism, un’alleanza di warlords supportata da gli Usa, creata in chiave anti islamica. I signori della guerra nonostante l’aiuto di Washington però perdono terreno e l’ UCI prende controllo di Mogadiscio ed è in seno alle Corti Isalmche che germoglia il gruppo Al Shabaab, la giovinezza.

L’islam somalo inizia a spaventare gli Stati Uniti che decidono quindi di supportare il governo federale di transizione insieme all’Etiopia e nel 2006 si arriva all’ennesima invasione della Somalia da parte dell’esercito di Addis Abeba. L’Unione delle Corti Islamiche occupa Chisimaio e fornisce quindi il pretesto per l’intervento dell’Etiopia che sconfigge le Corti Islamiche. Ma se sul campo è una vittoria apparente, quella condotta dagli etiopi insieme al governo federale in realtà è una sconfitta politica. La Somalia, che ha combattuto per oltre trent’anni per l’indipendenza dall’Etiopia, ora rivede la bandiera di Addis Abeba sul proprio suolo e così la popolazione, spinta da un sentimento di identità somala, si appella agli Al Shabaab come forza armata di resistenza e opposizione

Al Shabaab è un movimento trasversale, formato da diverse identità claniche alle quali si aggiungono in breve tempo anche forze provenienti dalla jihad afghana, dal Pakistan, dall’Arabia Saudita, dal Sudan e saranno loro poi a introdurre le tecniche suicida nel gruppo. Durante il biennio di occupazione etiopica Al Shabaab allarga le proprie fila passando da 400 combattenti a diverse migliaia. I successi arrivano. Gli jihadisti occupano Merca, Baidoa, Chisimaio, parte di Mogadiscio e alternano una strategia di guerriglia nelle zone dove comanda il governo somalo a un controllo amministrativo nelle aree in loro possesso.
Nel 2007 per contrapporsi alla ”gioventù” viene istituita una nuova missione internazionale a guida dell’Unione Africana: l’Amisom ( African Union Mission in Somalia), che per i primi 5 anni si scontra con i terroristi alternando vittorie e sconfitte, poi nel 2012 il Consiglio di Sicurezza amplia la Missione portando gli effettivi a 17mila uomini e iniziando un’offensiva senza precedenti.

Ma la versatilità della jihad somala ora mostra tutte le sue capacità. I mujhaeddin infatti passano alla guerra del terrore con estrema rapidità e iniziano a colpire anche oltre confine. Nel 2012 inoltre stringono un alleanza con Al Qaeda e poi attuano azioni come l’attacco al WestGate di Nairobi e al campus di Garissa in Kenya che rivelano, oltre alla spietatezza dei guerriglieri somali, anche il loro grado di preparazione militare e strategica.

Nel 2014, la morte del leader storico di Al Shabaab Godane, porta a faide interne nell’organizzazione che sembrano minare per sempre il gruppo jihadista, ma ecco che l’ascesa di Abu Ubaidah e il lavoro dell’Amniyat, il servizio segreto del gruppo qaedista somalo, ristabiliscono l’ordine nella formazione, danno il via a una strenua lotta contro le formazioni dello Stato Islamico presenti nel Corno d’Africa e rafforzano la presenza di Al Shabaab nell’entroterra somalo. Ed è proprio l’Amniyat, la struttura di spionaggio, a permettere ad Al Shabaab oggi di avere una rete estesa di collaboratori che consente agli jihadisti di compiere attacchi, colpire i traditori e avere un controllo capillare del territorio.

‘Spesso, quando torno nel Regno Unito dalla Somalia, ricevo una telefonata da Al-Shabab. Succede di solito anche prima che parli con la mia famiglia, mentre sto aspettando il mio bagaglio o in un taxi sulla via di casa. Una volta, dopo un viaggio nella città somala di Baidoa, mi è stato dato un resoconto dettagliato di ciò che avevo fatto e dove ero stata.”Hai camminato fino a una banca ma era chiusa, hai bussato alle porte e hai cercato di aprirle, hai scattato alcune foto”, ha detto l’uomo di Al-Shabab, che poi ha aggiunto: “Le tue guardie del corpo non erano affatto professionali, stavano girovagando, chiacchierando tra loro con le pistole appese alle spalle, invece di sorvegliarti.”
A raccontare nel dettaglio com’è strutturata la branca di intelligence degli islamisti somali è Mary Harper, capo servizio della Bbc per l’Africa che in un articolo pubblicato per l’emittente britannica ha poi spiegato: ”Ho detto loro che ho paura che conoscano il mio itinerario così nei dettagli, ma mi hanno detto di non preoccuparmi perché hanno obiettivi molto più importanti di me. Tuttavia, dicono che potrei essere nel “posto sbagliato nel momento sbagliato” e subirne le conseguenze e che loro sono ovunque”.

L’Amniyat è il reparto d’elitè dell’organizzazione jihadista somala. Una formazione di 1000 persone, strutturata in cellule e i membri di ogni singola cellula non conoscono le identità degli altri, tanto che si coprono il volto ogni volta che effettuano riunioni e incontri. I membri dell’Amniyat sono meglio pagati degli altri, sono loro a pianificare gli attacchi in Somalia e anche all’estero e le donne giocano un ruolo fondamentale portando informazioni, occupandosi di cercare ricoveri per i miliziani e i membri di questa struttura dell’intelligence jihadista sono noti per determinazione, disciplina e rigore. Delatori e disertori vengono perseguiti dall’Amniyat e sempre alla BBC, un ex combattente jihadista ha confidato che per chi abbandona o tradisce Al Shabaab non c’è via di scampo perchè l’Amniyat arriva ovunque. Il solo modo per poter mettersi al riparo, stando alla testimonianza del pentito qaedista, è scappare in Europa o nei Paesi del Golfo.
Le spie dell’Amniyat vengono addestrate per vivere in territorio nemico ed è proprio il fatto che la maggior parte dei 1000 membri viva in incognito nelle zone sotto controllo del governo somalo a rendere questo gruppo terribilmente efficiente e spietato.

Hussein Sheikh Ali, ex consigliere per la sicurezza del presidente somalo e direttore dell’Istituto Hiraal , un gruppo di esperti con base a Mogadiscio, ha così chiosato: “L’Amniyat rappresenta le vene dell’organizzazione, è onnipotente: se l’Amniyat fosse distrutto, non ci sarebbero Al-Shabab”.