Narendra Modi ce l’ha fatta. Il Primo Ministro indiano attendeva con trepidazione l’inizio dello scrutinio delle più grandi elezioni del pianeta, che sono andate in scena tra l’11 aprile e il 19 maggio scorsi mobilitando oltre 900 milioni di persone, chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento nazionale.

I primi dati danno la coalizione nazionalista (Alleanza Democratica Nazionale) guidata dal Partito del Popolo Indiano del premier (Bharatiya Janata Party, Bjp) ampiamente in testa sull’opposizione guidata dal Partito del Congresso di Rahul Gandhi, erede di una storica tradizione di leader del Paese. Il Bjp controllava, in seguito alle elezioni del 2014, 271 seggi in solitaria e 282 a livello di coalizione su un totale di 545; ora, i primi dati ufficiali sembrano prevedere che Modi potrà contare, nei prossimi cinque anni, di una maggioranza ancora più solida. Forte di un numero di seggi superiore, con ogni probabilità, ai 290 per il solo Bjp, 18 sopra la linea soglia della maggioranza assoluta. Come sottolinea La Stampa, “il Bjp può arrivare a conquistare addirittura 318 seggi, conquistando la maggioranza assoluta con facilità. Insomma, un trionfo, accompagnato da festeggiamenti per le strade di molte città indiane, mentre la borsa indiana ha fatto un balzo del 2 per cento, toccando un record storico. Al momento, la coalizione dell’opposizione, guidata da Rahul Gandhi e dal Partito del Congresso, è in vantaggio in 135 collegi elettorali, dato che rappresenta comunque un raddoppio se raffrontato alla debacle del 2014”, ed è stato ottenuto a scapito di molti partiti localisti.

Modi, in ogni caso, vince a valanga. E di historical landslide parla anche il Guardian, a cui fa eco dall’altra parte del mondo il Nikkei, ponendo l’accento sui temi che hanno consentito a Modi di mettere al sicuro la rielezione. Se nel 2014 il Bjp si era presentato come il partito della modernizzazione economica, delle riforme e dell’apertura dell’India ai mercati globali, oggi Modi vince combinando il consenso per i buoni risultati economici, alcuni successi di propaganda (come l’annuncio dell’elettrificazione, per quanto incompleta, del 100% dei villaggi del Paese) e il rilancio di una fiera retorica nazionalista. Sfoderata nei mesi scorsi nel momento di massimo acume delle tensioni col Pakistan, che hanno portato i due colossi nucleari vicini al conflitto e hanno tuttavia rappresentato un assist preziosissimo per la corsa di Modi verso le elezioni.

Il Partito del Congresso aveva posto l’accento sulle disuguaglianze economiche, sulla necessità di misure per il contrasto alla povertà e sulla denuncia contro quella che ritiene un’occupazione dello Stato da parte del partito di Modi. Tuttavia, il Primo Ministro è stato più abile sia sotto il profilo comunicativo che sul piano politico a compattare un elettorato trasversale, molto radicato nella classe media consumatrice, determinante per la vittoria nella maggioranza dei collegi elettorali, che sono uninominali ed eleggono direttamente il candidato che ottiene la maggioranza relativa (metodo first-past-the-post).

Modi, riconfermato a Nuova Delhi, potrà proseguire la sua marcia politica. Con un occhio di riguardo alla politica estera. L’India, infatti, è un pendolo che deve coniugare i timori per le iniziative cinesi e l’avvicinamento agli Stati Uniti con la necessaria ricerca di un modus vivendi con l’Impero di Mezzo e la necessità della ricerca di una via autonoma, palesatasi principalmente nella definizione di una strategia geopolitica individuale nell’Oceano Indiano. Sono destinate a rimanere tese le relazioni col Pakistan: Modi e l’omologo di Islamabad Imran Khan sono depositari di agende fortemente nazionaliste e divergenti. In Asia, in ogni caso, è l’epoca degli uomini forti. Mentre Xi Jinping è padrone del Partito Comunista Cinese e dominus del Paese, Abe, Modi, Duterte e Khan puntano a legittimare la loro leadership e le loro strategie con successi di ampia portata alle urne. E con la vittoria travolgente alle elezioni, il leader del Bjp consolida il suo status di politico di rilevanza globale, candidandosi a un ruolo da protagonista nell’Asia dei prossimi anni.